sabato 13 maggio 2017 ore 18 - EUROOM spazio arte


MATER

dieci note sul concetto di identità


Olga Averyanova (Russia)

Don Carr (Canada)

Frank Dituri (USA)

Luigi Fatichi (Italia)

Miyayama Hiroaki (Giappone)

Igor Kitzberger (Rep. Ceca)

Mauro Manetti (Italia)

Joan Powers (USA)

Euro Rotelli (Italia)

Karachi Seiko (Giappone)


testo critico di Nicoletta Mainardis


in collaborazione con Filarete Art Studio (Empoli)



fino al 3 giugno

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Mater. Dieci note sul concetto di identità.


Dopo l’evento nello spazio empolese di Filarete Art Studio, la mostra Mater. Dieci note sul concetto di identità si sposta nello spazio friulano Euroom di Fiume Veneto (PN). Riannodando legami fra ciò che si somiglia, rinsaldando fiducie pregresse in una storia dell’arte più complessa e articolata di quella tramandata, dieci artisti s’incontrano per affermare, in controtendenza rispetto alla attuale omologazione dei linguaggi artistici, la propria non rinuncia a un’idea dell’arte che mira responsabilmente a coltivare una ritrovata identità.

In epoca di globalizzazione e standardizzazione dei linguaggi artistici si torna a riflettere sul concetto d’identità in arte in quanto categoria di pensiero, e a riconoscere in esso un valore verso la ridefinizione di un’identità,individuale e collettiva,perduta o dispersa, compromessa e svilita, fondata sulla cultura del visivo. È la scommessa che vede gli artisti qui riuniti, un nucleo significativo e ben assortito di presenze da tempo attive nel panorama contemporaneo, pronti a difendere, non in solitario agone ma in una sempre più ampia e in circoscritta rosa di partecipazioni, il primato della tradizione, la sua sovrana “originalità”.


“Mater” come madre, ma anche come materia, materia vivente: questo il tema della mostra, un ritorno all’origine fiduciosamente estroflesso sul presente dell’arte, calibrato su coordinate linguistico-espressive d’insospettata estensione nel rivendicare all’esercizio estetico la sua piena autonomia e universale riconoscibilità. L’esigenza comune agli artisti coinvolti –Olga Averyanova, Don Carr, Frank Dituri, Luigi Fatichi, Miyayama Hiroaki, Igor Kitzberger, Mauro Manetti, Joan Powers, Euro Rotelli e Kawachi Seiko –, è quella di trasformare l’esperienza del presente in evento “memorabile”; e in questo il passato può ancora servire, il passato spogliato da tentazioni evocativo-elegiache quanto da propositi esornativi, reinterpretato come fonte continua di riflessione sulla realtà attraverso il suo inesauribile trascorrere di forme.

     

Molti i richiami, i valori in gioco posti in rilievo dall’odierna occasione espositiva, i punti di riferimento per una rilettura in chiave lirica o ironica di quanto la lezione del passato ha ancora da offrire ad una sensibilità e coscienza moderna. Si va dai mosaici bizantini e medievali al plasticismo novecentista, dalle epifanie di arte sacra alle eleganti, dinamiche linearità di ascendenza mitteleuropea, dalle stampe giapponesi rivisitate con spunti di linguaggio pop alle provocazioni tra surrealismo e New Age, dalle preziosità calcografiche della pratica orientale ai sondaggi spaziali della scultura. La ricognizione dei linguaggi visivi e la loro sapiente contaminazione evoca potenzialità creative aperte su scenari inediti; come quelli proposti dall’immagine fotografica, oramai emancipatasi da finalità documentaristiche e capace invece di declinare la sua profondità tutta in superficie secondo la densità fisica della pittura-pittura o la versatilità della grafica. Siamo di fronte ad un concorso eclettico di forme e stili chiamati a ritagliare frammenti, istantanee, concentrate trame di un vissuto a cui si è disposti a riconoscere un senso che chiede di essere espresso.


Il senso del fare arte in una civiltà in cui l’arte ha perduto, insieme al suo orizzonte utopico, il crisma della visione assoluta sta nell’affioramento del singolo dato, della circostanza minima, dell’episodio attorno a cui si coagulano coscienza e memoria, pensieri ed emozioni, e nella sua restituzione visiva avvertita nell’ordine della necessità. È la vita che si rivela a se stessa, con i suoi misteriosi incanti, nel confronto con luoghi, cose e figure sottratti al flusso indiscriminato della temporalità e così salvati dalla dispersione. Lo sguardo dell’arte registra questa micro fenomenologia dell’esistente nell’hic et nunc della sua significazione; e lo fa affidandosi alle qualità di perizia tecnica e compositiva reintegrate a fondamento dell’esercizio estetico dopo un lungo periodo di ostracismo. Si tratta di una disposizione condivisa dagli artisti qui convocati, una capacità formante, ideativa e costruttiva,teorica e pratica, mutuata dall’esperienza del passato e avvalorante l’istanza poetica originaria di una cultura artistica “postclassica”, com’è stata definita, che rivendica con fierezza la propria appartenenza ad una tradizione comune.


Ripensare la tradizione nella consapevolezza della sua pulsante contemporaneità vuol dire prima di tutto ripensare la natura, tornare a rivederla con la complicità e insieme il distacco necessari a farla risplendere. La natura sentita come illimitata energia creatrice depositaria di bellezza, e anche come fenomenologia del mistero, evanescente linea di confine tra cielo e terra, visibile e invisibile. La natura vista nei suoi momenti topici, nel fiorire e sfiorire di fiori, alberi, foglie, nel mutevole avvicendarsi di luci e ombre, di movimento e quiete; la natura còlta nella sua flagrante evidenza, rigenerata dal gesto dell’arte nella sua stessa essenza ontologica. È quando il reale denuncia la sua forte carica simbolica, una tensione fantastica e spirituale che libera miti, ricordi e impressioni, riconfigurando il paesaggio dell’arte all’insegna della sua vocazione più autentica ad esprimere e significare per forme e segni la relazione sempre mutevole tra soggetto e mondo, tra natura e cultura, tra poesia e storia.


È bene allora affidarsi alla ricchezza di suggestioni che queste carte disegnate e dipinte e queste fantasie plastiche emanano, meglio lasciare che queste immagini mobili e vivaci parlino di sé, raccontando storie di uomini consapevoli delle proprie origini, fra loro dialoganti, desiderosi di comunicare gli uni con gli altri attraverso gli strumenti dell’arte riconoscendo nelle parusie del visibile la pienezza dell’umano. Testimoni persuasivi e affabili di un nuovo umanesimo che si riappropria della sua dimensione originaria a un tempo cosmopolita e identitaria, i lavori oggi esposti rivelano una medesima, irriducibile e culturalmente attrezzata, passione per il mondo, per una vicenda in atto che nell’arte rispecchia la sua domanda continua di bellezza e verità.


Nicoletta Mainardi