14 giugno 2019 - EUROOM spazio arte

La veglia di Ljuba

 di Angelo Floramo


dialoga con l'autore

Andrea Visentin


interventi musicali 

Daniele Venier



Theatron

fotografie di Euro Rotelli






LA VEGLIA DI LJUBA


La vita intensa di un uomo, esule più per vocazione che per destino, fuori dagli schemi, diventa lo spunto per narrare la storia del Novecento lungo il confine tra Italia e Jugoslavia. Dai villaggi dell'Istria profonda alle pagine nere del fascismo, dall'occupazione titina di Trieste al terremoto in Friuli del 1976 e alla successiva ricostruzione, fino ad arrivare ai giorni nostri: la biografia di un essere umano si sovrappone alla biografia di una terra complessa, plurale, meticcia. Floramo conduce il lettore in un viaggio che attraversa continuamente le frontiere, entra nelle pieghe di un amore, delicato e intenso, lungo un'intera vita e racconta il destino di bambini, uomini e donne che si sono ritrovati in un posto giusto in tempi, spesso, sbagliati.



Angelo Floramo è nato a Udine nel 1966. Laureato in Filologia latina medievale e dottore in Storia medievale, insegna Lettere e Storia nella scuola media superiore. È consulente culturale e direttore scientifico

.8 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli.

.8 Ha pubblicato numerosi saggi e articoli specialistici e collabora con riviste nazionali ed estere. È autore, inoltre, di alcuni volumi, tra cuiBalkan Circus (Ediciclo, 2013), Guarneriana segreta (Bottega Errante Edizioni, 2015), L’osteria dei passi perduti (Bottega Errante Edizioni, 2017), Forse non tutti sanno che in Friuli…  (Newton Compton, 2017), La Veglia di Ljuba (Bottega Errante Edizioni, 2018) e Storie segrete della storia del Friuli (Newton Compton, 2018).


 

 





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Theatron

fotografie di Euro Rotelli



Un tempo l’uomo era il protagonista che si muoveva in un ambiente costruito secondo le proprie esigenze e ogni definizione architettonica era condizionata dalla sua funzione.

Oggi siamo scivolati all’opposto: è l’uomo a doversi misurare e adattare all’architettura, che segue canoni e dettami spesso avulsi dal bisogno umano, spesso meri esercizi di stile e forma fini a se stessi.

Ci troviamo così a doverci confrontare con realtà estremamente varie, in un contesto urbano e sociale costruito troppo spesso senza tener conto della dimensione umana, oppure inadeguato al nostro modo di essere e di pensare. A volte possiamo incontrare spazi che portano a riflettere sulla propria esistenza o altri che invitano a soffermarci o ci respingono.

Ogni situazione odierna offre comunque un’ampia possibilità di confronto con lo spazio e il tempo, impossibile fino a qualche secolo fa.

Ed è su questa riflessione “metafisica” sull’uomo e il suo spazio che si fonda questa ricerca, nata come esigenza interiore di ritrovare una giusta dimensione e un equilibrio nella quotidiana realtà, non più vissuta ed accettata come una giustapposizione alla nostra individualità ma come possibilità di dialogo e critica..

In queste immagini, l’uomo ridiventa il protagonista. La sua posizione davanti alla scena assume una valenza tragica antica ed è qui che l’apparente staticità si trasforma in dinamicità: il soggetto ci comunica il suo pensiero, il suo essere hic et nunc. In questa prospettiva dialettica, la scena colorata e costruita alle sue spalle, diventa parte integrante della tragedia, e protagonista della stessa dimensione metafisica. L’Io narrante simbolizza non solo la situazione, ma la sua stessa storia e identità culturale. Con il proprio linguaggio del corpo trasmette alienazione, disagio, potenza, dominio, frustrazione, inadeguatezza, piacere, provocazione... nei confronti del mondo oggettivo a lui suo malgrado imposto. E’ un ritorno alle origini, alla ricerca di una propria identità e libertà di scelta, senza condizionamento alcuno.

La scelta del collage, dove vengono usati due diversi tipi di polaroid, sottolinea il distacco dalla scena dei personaggi nella loro cosciente individualità, riuscendo nel contempo a ristabilire e rafforzare un rapporto critico e dialettico con la realtà, apparentemente in piano secondario ma sempre prepotentemente presente come scena. Non a caso ogni intervento è esclusivamente manuale, a sottolineare energicamente la valenza e la dimensione corporea del messaggio, dove l’uso del computer o di un ritocco pittorico successivo, non potrebbero trovare alcuna giustificazione.

La scena è a volte scelta e cercata, a volte si presenta casualmente; l’equilibrio è reso sia dai colori che dall’inquadratura, passando per un intervento manuale sulla superficie durante il rapido sviluppo che ne determina la drammaticità in quel determinato momento. In questo contesto viene posta la figura umana, la quale assume rilievo e importanza, anche se a volte può sembrare in secondo piano, proprio a causa della tecnica usata: i corpi ricordano nelle loro posture la classicità delle statue greche e l’analogia è ribadita dalla visione leggermente indefinita e dalla frammentazione della superficie riportata su carta che fanno pensare alla pietra e al marmo corrosi dal tempo.    

In definitiva questo “Theatron” costituisce il diario stesso dell’autore, il suo viaggio in cui ritrova se stesso e le proprie radici nella capacità di poter ricreare un costruttivo e armonico rapporto con l’attuale realtà.